“To Go dark” è un’espressione che, nel gergo militare, significa qualcosa come “calarsi in clandestinità”, con estensione di un uso più comune che indica la cessazione o la pausa di attività. Nella Mas- soneria anglofona corrisponde tanto al nostro “demolire le colonne”, quanto a “sospendere le attività per un periodo”. In quest’ultimo uso, indica che i Fratelli possono occuparsi di attività di manutenzione, educazione o carità, liberi dall’obbligo di frequenza ai Lavori di Loggia.
Generalmente, nella prassi comune, fra il solstizio d’estate e l’equinozio d’autunno, i Lavori Muratori sono sospesi e le Logge “go dark”. Possono esservi numerose ragioni pratiche per que- sto periodico oscuramento, ma la coincidenza con due dei quattro punti cardinali del ciclo solare annuo, dal solstizio d’estate all’equinozio di autunno, impone qualche riflessione.
Si deve al teologo Pastore Evangelico Edmond de Pressensé1Edmond de Pressensé, Vie de Jésus-Christ, Meyrueis – G. Bailliére, Paris 1886: 21 il parallelo tra la morte di Giovanni Battista e quella di Mosè: il primo, pur essendo figlio della precedente Alleanza, intravede quella nuova, senza tuttavia entrarvi. Così il secondo, che muore sulla frontiera della Terra Promessa, senza poter far altro che ammirala da lungi: entrambi avevano fornito un contributo fondamentale per la realizzazione dei rispettivi passaggi alla nuova condizione.
Un parallelo molto illuminante, che non solo lega fra loro l’Alleanza e la Terra Promessa, ma marca la delimitazione, mediante la presenza nella narrazione di un personaggio di spicco degno della più alta considerazione, tra due ere, due condizioni o stati diversi, la prima propedeutica alla successiva.
Tale è Catone Uticense nel Purgatorio dantesco, posto sulla soglia della Vita Eterna, quale è la via aperta dall’espiazione del Purgatorio, ma appartenente al mondo pagano. «Quale uomo terreno più degno fu di significare Iddio, che Catone?» si chiede Dante nel Convivio IV. Catone racchiude il lascito più ricco, il tesoro, per così dire, dell’evo trascorso prima della Redenzione, come l’immortale Utnapishtim – il Noè babilonese -, anch’egli in un’isola al di là delle Acque di Morte, rappresenta l’umanità precedente il Diluvio Universale nel Poema di Gilgamesh2Pietro Mander, Gilgamesh e Dante: due iti- nerari alla ricerca dell’immortalità, Artium XXI/4 (2019): 52-83.. Mosè, Giovanni Battista, Catone e Utnapishtim sono quattro grandi figure, che raccolgono quanto di più valido sia presente nell’eredità del passato, per trasmetterlo ad una nuova era.
Entrambi gli episodi, il battesimo di Gesù e la conseguente fatale persecuzione del Battista, come la vicenda dell’Esodo dall’Egitto, seguono nella narrazione lo scorrere del tempo lineare, evidenziando la simultanea esi- stenza del tempo qualificato. Una differenza che era ben nota nell’antichità, come testimoniano le tavolette d’argilla incise nella più antica scrittura di cui si abbia notizia.
Un poema mitologico sumerico3Electronic text Corpus of Sumerian Litera- ture (= https://etcsl.orientinst.ox.ac.uk) 2.2.3.narra della devastazione operata da una formidabile tempesta, che si abbatté, come un diluvio (parole del testo!) sulla città di Ur e sul paese di Sumer, per deci- sione dei sommi dèi. Un’immagine efficace per descrivere la fine dell’ultimo re della III Dinastia di Ur per causa di invasione nemica e disgregazione interna dell’impero. Il poema descrive le pietose condizioni della città e del paese nel corso della devastazione, condizioni così tragiche, da indurre il dio patrono della città, il dio-Luna Nanna/Suen, a perorare la grazia al signore degli dèi e dell’universo, il dio Enlil, suo padre (versi 340- 370)4Cfr. Anche Thorkild Jacobsen, The Treas- ures of Darkness, Yale University Press, New Haven 1976: 90-91.:
«Suen (andò) a pian- gere da suo padre Enlil: “O padre che mi hai generato, perché hai abbandonato la mia città, che fu edificata per te? / … /(Così) rispose Enlil a suo figlio (il dio-Luna Nanna/Suen): / “Si lamenta il cuore della città spettrale, / i (flauti di) canna (per le lamentazioni) si moltiplicano. /In essa la gente passa i giorni singhiozzando. / … /O mio nobile figlio Nanna, perché ti preoccupi di (questi) pianti? / La sentenza decretata dall’assemblea (degli dèi) non può essere modificata, / non si sa di alcuno che abbia potuto stravolgere la parola del (dio del Cielo) An ed Enlil. / Alla città di Ur fu assegnata la regalità5Ur era la capitale dell’impero, ma non le fu assegnato un lasso di regno (sumerico: bala) eterno. / Dal tempo immemorabile, quando fu fondato il paese, fino al moltiplicarsi delle genti, / chi mai ha visto un regno dominante per sempre? / Il suo (= di Ur) regno fu lungo, ma (ora) si ènesaurito. / O mio Nanna, non ti impe- gnare invano (a salvare Ur)! / Abban- dona la tua città!»
Il termine sumerico bala, in accadico (l’assiro-babilonese) palû, esprime un concetto di tempo ciclico, mentre il tempo lineare, in quelle due lingue, è indicato diversamente6Jean-Jacques Glassner, Chroniques mésopo- tamiennes, Les belles lettres, Paris 2004: 24.. Il tempo ciclico è quello che chiamiamo “qualificato”, in quanto il ciclo si svolge secondo ritmi e cadenze proprie, fino a pervenire a quel tempo – come si vede in questo poema mitologico di lamentazione sumerico – che è il tempo qualificato proprio della fine. Deve essere chiara la differenza: il tempo lineare è quello che trasforma il seme della quercia, che è stato sotterrato, in un grande albero fronzuto; un minuscolo embrione nel grembo di mia madre nell’anziano che non è sdentato grazie agli sviluppi gloriosi dell’implantologia, quale ora sono. È un tempo che scorre linearmente, unidirezionalmente – risorsa non ripristinabile, diceva infatti il ministro dell’università Antonio Ruberti – senza che sue suddivisioni rechino in sé particolari qualità atte a condizionare il corso degli eventi.
Nel nostro mondo predomina la sola concezione del tempo lineare, salvo poi accogliere – sebbene in sordina ma non superficialmente – in maniera assolutamente fideistica un tempo qualificato, come quando pensiamo la storia come evoluzione continua verso il progresso. Monod criticò duramente quest’idea, rimproverandone ad Engels (accusandolo di “projection animiste, … non solo estranea alla scienza, ma incompatibile con essa”), e con lui a Marx e Hegel, l’implicita radice religiosa (“animista”, come la definisce Monod): per la seconda legge della termodinamica, la legge dell’entropia, l’universo un giorno si spegnerà, e con esso ogni cosa presente e futura7Jacques Monod, Le hasard et la nécessité, Éditions du Seuil, Paris 1970: 56-59 e 242- 244 (trad. it. Il caso e la necessità).. La reazione marxista alla prima anticipazione del pensiero di Monod fu veemente, ma non impedì a quest’ultimo di scrivere la straordinaria conclusione del libro, tesa a liberare l’etica della conoscenza e l’ideale socialista (entrambi fondati sulla responsabilità morale e sulla libertà dalle scelte dogmatiche) dalle ideologie “animiste”, accusate di aver sancito come vere le presunte leggi della storia: « … l’homme sait enfin qu’il est seul dans l’immensité indifférente de l’Universe d’où il a emergé par hasard. Non plus que son destin, son devoir n’est écrit nulle part. A lui de choisir entre le Royame8Monod intende questo per Royaume. P. 224: «Royaume qui habite l’homme et où, de plus en plus libéré des constraints matérielles comme des servitudes mensonères de l’animisme, il pourrait enfin vivre authentiquement, défendu par des institutions qui, voyant en lui à la fois le sujet et le créateur du Royaume, devraient le servir dans son essence la plus unique et la plus précieuse.». et les ténèbres.». Un materialismo sano, coerente ed “onesto”, questo di Monod.
Per altri versi preferiamo Evola, quando, criticando anch’egli, da altro punto di vista, la «concezione progressista», sostenuta dai cultori del
materialismo storicista, scrive: «… l’idea stravagante di una evoluzione continua è potuta nascere solo nel considerare gli aspetti materiali e tecnici delle civiltà, trascurando del tutto gli elementi spirituali e qualitativi di esse»9Julius Evola, La Tradizione Ermerica, Mediterranee, Roma 1996: 43 n. 44.. Evola propone in questo passo una classificazione dualistica fra la civiltà moderna da una parte, e tutte le altre civiltà (comprese le civiltà europee fino a tutto il Medioevo) dall’altra, così come la tracciò anche Guénon, di cui si riporta qui un passo a riguardo, altamente illuminante, in quanto relativo al vivere quotidiano10René Guénon, Il regno della quantità e il segno dei tempi, Adelphi, Milano 1982: 109:
«In una civiltà tradizionale, al contrario [di quella occidentale moderna], ciascun oggetto, oltre ad essere perfettamente appropriato all’uso a cui era immediatamente destinato, era fatto in modo che ad ogni istante, proprio perché se ne faceva realmente uso (al posto di trattarlo in certo qual modo come cosa morta alla maniera dei moderni nei confronti di tutto ciò che essi considerano “opere d’arte”), poteva servire da “supporto” di meditazione, il quale ricollegava l’individuo a qualcosa di diverso della semplice modalità corprorea, ed aiutava pertanto ciascuno ad elevarsi ad uno stato superiore a seconda delle sue capacità. Quale abisso fra questi du emodi di concepire l’esistenza umana!»
In definitiva, abbiamo appena incontriamo un paradosso. Da un lato, un materialista, Monod, attacca il tempo surretiziamente qualificato, considerato tale dalle presunte leggi “progressiste” del materialismo dialettico e storico, negando a tale tempo qualificato qualsivoglia realtà ef- fettiva, mentre “spiritualisti” tradizionalisti quali Evola e Guénon, criticano quello stesso tempo lineare riconosciuto come vero da Monod, proprio perché rappresenta l’unica concezione occidentale moderna del tempo, alla quale contrappongono come autenticamente reale il solo tempo qualificato, ovvero il tempo ciclico.
Per superare il paradosso, occorre andare oltre, e affrontare la metafisica del tempo, dando così ragione della posizione dei Tradizionalisti. Allo scopo, riferiamo succintamente l’interpretazione che dà – in senso metafisico, appunto – de Guaita del racconto biblico di Caino e Abele11Stanislas de Guaita, Le serpente de la Gènese – vol. 2/1: La clef de magie noire, Amidei, Milano sine data: 19-26.
Lo Spirito puro, secondo quella che de Guaita chiama la “corrente dell’esoterismo mosaico”, si unisce indissolubilmente all’Anima mundi,
generando il Logos o Adam-Elohim, e venendo così a formare quello che Valentino chiamerà il Pleroma. Adamo, consostanziale al Logos (alias Adam-Elohim), attratto da Nahāsh (= “serpente”; ovvero l’egoismo, la pulsione egoica), al fine di possedere la Natura nella sua essenza fondamentale, anteriore – per cosi dire – all’unione con lo Spirito (la “radice tenebrosa” di Jacob Böhme), precedente il “fiat lux!”, ovvero dove – sempre per così dire – si trova la possibilità di ciò che vorrebbe essere ma non è, sprofonda in quel baratro (la “grande notte” degli Orfici), il baratro del “néant avide d’être”, che Adamo porta alla manifestazione. A questo punto ha luogo il “fiat lux!”, che l’intelligenza superiore della Natura emana come raggio nell’abisso, che fa passare in atto il rimedio in potenza dall’eternità per salvare Adamo: ecco la Provvidenza.
Dalle tenebre sortiscono così tre forze elementari: una comprimente (densità), una espansiva (singolarità) e la terza ro- tante, esito della lotta delle due prece- denti (e madre del fuoco primordiale), cui si deve il fondamento della vita di tutte le creature. Questo fondamento è impersonato da Adamo-Eva, quale coppia primigenia. Così la forza compressiva è impersonata da Caino, ovvero il tempo che divide, centripeto. Adamo, la cui forma divenne cangiante (il corpo passa dalla forma di bambino a quella di giovane e poi a quella di vecchio: la sua unità è stata divisa nelle diverse forme assunte) ebbe conoscenza del tempo: e, contestualmente dello spazio, grazie alla realtà corporea che ne occupa una parte: principio della impenetrabilità dei corpi). Ovvero, Abele, spazio eterico centrifugo, sostanza eterica dello spazio, viene compattata dal tempo, e questo è il fratricidio di Caino nei confronti di Abele.
Il tempo infatti distrugge ogni essere individuale, per quanto questi si sia speso dilatando (ovvero occupando uno spazio definito) la propria condizione. Nasco, cresco, invecchio e i miei componenti si disperdono alla mia morte, per l’azione del tempo. Il fluire delle ininterrotte trasformazioni degli esseri delimitati individualmente – non solo esseri viventi: tutti gli esseri – consente così la manifestazione del mondo materiale di altri individui, che poi, a loro turno, lasceranno posto ad altri individui ancora, in uno scorrere ininterrotto organizzato dalla terza forza, quella rotatoria, personificata da Seth. La forza rotatoria, esito, come s’è ricordato, dello scontro delle due forze, comprimente l’una ed espansiva l’altra, permette la distribuzione siderale (da cui poi discenderà quella corporea) della sostanza adamitica nello spazio per mezzo del tempo. Sempre per mezzo del tempo, Adamo si diffonde in “sottomultipli”, i quali ruotano nell’estensione dell’Esistenza, fino all’inte- grazione dello spazio nuovamente nell’Unità, per opera del tempo divisore.Questo schema non si discosta da quanto si osserva nella Trimurti dell’Induismo, dove Brahmā è il creatore, Visnù il preservatore (corrisponde allo spazio, in cui le forme si possono sviluppare e cangiarsi) e Śiva il distruttore, ovvero il tempo, che consente con la sua azione il ritorno all’unità di Brahmā.
Il corso annuale del sole determina un tempo qualificato, scandito in stagioni dalle peculiarità distinte. Esso è posto ai fondamenti
dell’attività libero-muratoria: non solo il corso del sole, e la sua fun- zione illuminante sono ripetutamente menzionati nei rituali di apertura e chiu- sura dei lavori di Loggia, ma il nome “San Giovanni” è centrale nella Tradizione dell’Istituzione.
Nel calendario comune il 21 dicembre e il 21 giugno sono i giorni in cui si veri- ficano i due solstizi e il calendario canonico celebra il 27 dicembre Giovanni Apostolo ed Evangelista, e il 24 giugno la natività di Giovanni Battista: due figure importanti nella storia del Cristianesimo, poste in guisa di custodi nei pressi dei due solstizi.
Di Giovanni Evangelista, non a caso rappresentato dall’aquila, animale che vola alto, Dante dice che il suo bagliore acceca (Paradiso XXV-XXVI), mentre il santo esorta il poeta, incontrato nel Cielo delle stelle fisse, a parlare di Carità. Ricordiamo che l’Amore è tanto centrale in Dante, che egli l’espone proprio nel mezzo aritmetico dei versi del poema, e tale mezzo ricorre in Purgatorio XVII 91- 139, quando Virgilio espone la dottrina dell’amore al suo allievo, cominciando – non certo a caso! – con le parole «Né creator né creatura mai / – cominciò ei – figliuol, fu sanza amore, / o naturale o d’animo; e tu ‘l sai» (vv. 91-93), che si interpretano alla luce dell’ultimo verso del poema stesso, Paradiso XXXIII 145 «l’Amor che move il sole e l’altre stelle». Dio è Amore, e l’amore è pertanto divino, e questa natura divina è propria a tutti gli esseri creati. Assegnando nel poema a Giovanni Evangelista questo ruolo, Dante ne ha pienamente riconosciuto la centralità, che i Lavori di Loggia riprendono, allorché si aprono proprio ponendo gli strumenti del Lavoro sulla Rivelazione, come esposta da San Giovanni, che funge quindi da base ed ispirazione.
Giovanni Battista fu decollato, mentre era prigioniero di Erode, per una perversa vendetta eseguita sul capriccio della seducente Salomè; non mi soffermo su questo non insignificante dettaglio relativo alla presunta famigerata “danza dei sette veli” (non ricordata nei Vangeli); passo oltre a considerare il significato della testa mozzata, tema centrale per le considerazioni che qui si stanno svolgendo.
Un mito Sioux, ricordato da Coomaraswamy12Ananda Coomaraswamy, Sir Gawain e il Cavaliere Verde: Indra e Namuci, in: appendice a Sir Gawin e il Cavaliere Verde, Adelphi, Milano 1986: 137-189 (originale: Sir Gawain and the Green Knight: Indra and Namuci, Speculum XIX/1 (1944): 104-125. dice che «la testa mozzata del Mostro rimbalzò e continua a rimbalzare ancor oggi sotto forma di sole»13Ibid: 140.. È questo uno dei tanti miti presi in considerazione presso popoli e civiltà di tutte le epoche e latitudini da Coomaraswamy nello studio del 1944, Sir Gawain and the Green Knight: Indra and Namuci, apparso sulla rivista Speculum, per dimostrare come, pur nell’enorme varietà, i miti di decapitazione – il Cavaliere Verde citato nel titolo è un protagonista di una saga della Tavola Rotonda, dove è narrato che si decapita da se stesso, pur restando vivo – convergano tutti comunque su un medesimo significato: la verità metafisica relativa alla nascita del tempo. L’articolo, a detta dell’autore stesso, è quindi un manifesto del pensiero perennialista (Philosophia perennis), che colloca le mitologie e i racconti tramandati dal folklore nel solco della Tradizione Primordiale. Egli riferisce, a proposito, le parole di Mircea Eliade sulla memoria collettiva di simboli arcaici, dettagliatamente ricordati e trasmessi di generazione in generazione, pur essendosene, di tali simboli, perso il senso metafisico14Ibid: 160.. I simboli, trasmessi in forma di questo materiale, sia narrativo orale, sia letterario, sia iconografico, giunto fino a noi, costituisce pertanto un’espressione precisa delle dottrine metafisiche15Coomaraswamy, Sir Gawain …, cit.: 161, che non sono più capite, da coloro stessi che ne sono i latori.
La decapitazione libera il sole dalle tenebre che lo tenevano avvolto, e consente così il «passaggio dall’Uno al molteplice»: in altri termini, Cielo e Terra, e Giorno e Notte all’origine erano uno, e, quando furono separati, permisero a spazio e tempo di essere, e quindi da fungere da teatro in cui gli esseri potessero nascere e manifestare le proprie potenzialità, inizalmente trattenute nell’unità primordiale. Infatti, in questo materiale, mitologico e folklorico raccolto e commentato da Coomaraswamy, non a caso spicca il tema dell’“anno nuovo”, che simbolicamente indica l’inizio del conto del tempo16Ibid: 144-145.. Dall’aspetto che potremmo dire “cosmologico”, ovvero relativo all’inizio della manifestazione, quindi del cosmo, la stessa impostazione passa alla “Conoscenza di se stessi”, in quanto la separazione divide l’anima dallo spirito, dove quest’ultimo è il sole interiore, non quello visibile, che va distinto come Apollo va distinto da Helios17Ibid: 159., e questo è un aspetto di un’autentica dottrina metafisica, che, essendo universale18René Guénon, Introduzione generale allo studio delle dottrine indù, Edizioni studi tra- dizionali, Torino1963: 91-92 «… la metafisica è … la conoscenza dell’universale, o, se si vuole, dei principi di ordine universale. …non vogliamo però dare … una vera e propria definizione di metafisica, cosa che sarebbe impossibile, proprio a causa di quell’universalità, che nopi consideriamo come il primo dei suoi caratteri … In realtà non è definibile se non ciò che è limitato, de la metafisica è al contrario, … assolutamente illimitata», si informa di sé livelli diversi.
Ritengo doveroso, per concludere questo troppo succinto riassunto, citare il caso del poema sumerico Lugal-e, composto alla fine del III millennio a. C., che all’epoca in cui Coomaraswamy scriveva questo studio, era noto solo agli specialisti e per di più in maniera molto lacunosa. Il riconoscimento, quindi in anni successivi al 1944, in diversi musei di ulteriori frammenti di tavolette in cuneiforme contenenti ulteriori parti e sezioni di questo peoma, ha consentito nei primi anni ’80 del secolo scorso una comprensione molto soddisfacente del Lugal-e, grazie alla quale ho potuto constatare che i contenuti della sua trama confermano le conclusioni di Coomaraswamy19Pietro Mander, The Magic Duel from Sumer to the Grail: Considerations on a Study by Coomaraswamy in: M. G. Biga – J. Ma. Cordoba Zoilo –, C. del Cerro – E. Torres eds., Homenaje a Mario Liverani, fundador de una ciencia nueva (I) – Omaggio a Mario Liverani, fondatore di una nuova scienza (I), Isimu – Revista sobre Oriente Proximo y Egipto en la antigüedad, Universitad Autonoma de Ma- drid 11-12 (2009-2010): 81-98..
Ora torniamo a de Pressensé, e all’analogia fra la morte dei due sommi profeti, Mosè e Giovanni Battista, proprio davanti alla soglia della nuova era, per l’apertura della quale essi avevano operato, sofferto e lottato. Mosè ha aperto un nuovo spazio, la Terra Promessa, Giovanni un nuovo tempo, quello della Redenzione. Quest’analogia chiarisce bene il senso che si deve scorgere nella decollazione di Giovanni Battista, che ora potremo valutare alla luce dello studio di Coomaraswamy.
Singolarmente, rispetto ai calendari in uso nel Vicino Oriente Antico, il capodanno ebraico – come, nella Siria del nord, quello eblaita del XXIV sec. a. C. – iniziava all’equinozio d’autunno (Rosh haShanah dal 25 al 27 settembre), e non a quello di primavera, come, per esempio, a Babilonia e in Assiria20Mark E. Cohen, The Cultic Calendars of the Ancient Near East, CDL Press, Bethesda MD 1993: 6; 400-402. v. anche Anthony Aveni, Empires of Time – Calendars, Clocks, and Cul- tures – Revised Edition, Universty Press of Colorado, Boulder CO 2002: 101-102 e n. 7 p.p. 308-309.. La tradizione ebraica, su cui la Massoneria fonda il proprio principio tradizionale (antiquitas Deo proxima), ha determinato questo punto cardinale dell’anno quale giorno iniziale.
Gli equinozi, inoltre, sono latori di sensi profondi. L’equinozio è il momento – solo due volte l’anno! – in cui l’asse dell’equatore e quello dell’eclittica, e conseguentemente anche i loro due punti d’intersezione, coincidono21Giorgio de Santillana – Hertha von De- chend, Il mulino di Amleto, Adelphi, Milano 1983: 188. Di nuovo, seppure in forma diversa, troviamo che la separazione di due entità precedentemente unite, come s’è visto nella metafisica “figurata” rivelata da de Guaita, dà origine al tempo. È infatti dal distacco di questi due assi che ha inizio lo scorrere del tempo, manifestato dal moto del sole, e pertanto dev’essere posto ad un equinozio l’inizio del computo annuale nel calendario.
Questa considerazione conduce, per i suoi riferimenti metafisici relativi all’uscita dall’Unità, alla concezione del tempo qualificato, piuttosto che a quella del tempo lineare. I momenti quindi del corso annuale del sole vanno valutati in quest’ottica. La decapitazione dell’Uno, liberando il sole dalle tenebre, dà origine al manifestarsi del molteplice, e tutti gli esseri possono nascere e realizzare le proprie potenzialità; il fendente libera anche lo scorrere delle acque, che rappresenta anch’esso lo scorrere sia del tempo che delle possibilità nel manifestato (l’acqua assume la forma di qualsiasi contenitore). La “liberazione“ delle acque del Tigri è il punto apicale del sumerico Lugal-e. Dunque, il sacrificio di quell’Uno al tempo stesso irriga e ripopola la Terra Deserta, o Città Deserta22Ibid: 143..
Quindi ai due estremi del percorso del sole, muovendo dagli equinozi, sia andando verso l’aumento delle ore di luce, sia verso la loro decrescita, sono poste due figure di grande rilievo, due personaggi del calibro di Catone, Mosè, Utnapishtim, ovvero i due Giovanni, Evange- lista e Battista. Non a caso, si direbbe, il nome “Giovanni” stesso ha un suono molto affine a quello del dio romano bifronte Giano, anch’esso divinità connessa al capodanno e agli inizi e ai termini23René Guénon, Simboli della Scienza sacra, Adelphi, Milano 1975: 216-218. Proprio considerando questi due estremi, fra i quali dall’equinozio di primavera aumentano le ore di luce, fino all’apice del 21 giugno, solstizio d’estate; o calano, in quello invernale, il 21 dicembre, si pone la questione della collocazione dei due Giovanni ai limiti della corsa annua del sole.
Perché allora è il Giovanni decollato (quindi decapitato) quello del solstizio d’estate, quando la luce raggiunge il massimo delle sue ore, e non l’Evangelista? Non è più corretto che sia l’Evangelista quello posto alla liberazione del sole, nel solstizio nel pieno del suo fulgore irradiante? Dubbio confermato, poi, da ulteriori considerazioni, per passare ad altro ordine di idee: non dimentichiamo mai che è sui primi versi del Vangelo dell’Evangelista che apriamo i Lavori! E nemmeno dimentichiamo la descrizione che dà Dante: il poeta infatti rimane accecato dal suo bagliore, per poi, nel segno della Carità, salire oltre le stelle fisse: non dovrebbe l’Evangelista rappresentare il trionfo del sole, in quanto trionfo della luce? Sostenere questo punto di vista sarebbe un errore: infatti basti ricordare che se il tempo è stato rapportato a Śiva nella Trimurti, è perché grazie alla sua azione distruttiva che il molteplice può tornare all’Uno, a Brahmā. Ed esattamente questo l’Evangelista consente. Nell’Ordine Muratorio, L’Evangelista rivelando la Parola Sacra all’apertura di quei Lavori che riportano all’Uno, ovvero la Gloria del GADU. Nella Divina Commedia dopo averlo incontrato, Dante ascende al Cristallino (per sua natura invisibile! cfr. accecamento!) e all’Empireo (che non è neppure un corpo celeste!), in una parola: effettua l’ascesa all’Uno, che è Amore (cfr. Carità).
Un’ultima annotazione sull’Apertura e Chiusura dei Lavori Muratorii: vi è singolare corrispondenza fra il pensiero indiano antico e il Cristianesimo24Coomaraswamy, Sir Gawain…, cit.: 143-144: «… Serpenti25Coomaraswamy qui riferisce sui miti ofidici, in cui i serpenti rappresentano l’essere primor- diale; sezionato, come Cielo e Terra, o maschile e femminile, può significare i due sé, che convi- vono in noi, uno mortale, l’altro immortale. Si veda, a proposito, A. Coomaraswamy, La signi- fication de la mort, Archè, Milan 2001: 93-97 che, abbandonando la loro vecchia pelle, avanzano, si liberano della morte, e divengono sole». Nulla di più pertinente.
Quindi dev’essere il Battista quel Giovanni, che, decollato26Come dimostra Coomaraswamy, op. cit, dà origine al tempo, o, per lo meno, deve corrispondere a quelle figure che nelle mitologie e nel folklore, una volta decapitate, danno origine al tempo e quindi al moltiplicarsi degli esseri. Ma, scrive Coomaraswamy27Coomaraswamy, Sir Gawain …, cit.: 152, la decapitazione è del Drago28Ibid: 147. Il Drago, così lo chiama Rūmī Me- vlana, sono gli appetiti, ovvero la parte che so- pravvive a quella diventata sole dopo la decapi- tazione: l’anima sensibile, per la quale i Liberi Muratori scavan oscure e profonde prigioni, senza eliminarla, e ogni persona deve ucciderlo per poi ricostruirlo.
Abbiamo ora gli elementi per poter concludere, e valutare la portanza semantica dell’espressione libero-muratoria anglosassone to go dark. Se Giovanni Evangelista riconduce al Principio Primo, e Dante è ben chiaro a riguardo, il Battista, collocato a custodia del solstizio d’estate, è colui che apre la strada al divenire della molteplicità degli esseri, e infatti viene decollato, in una torbida circostanza, per la quale rinvio ai passi relativi nel Vangeli. È quella circostanza che rappresenta il Drago. Con l’azione del Battista cominciano a scorrere le acque, verità simboleggiata nell’acqua battesimale versata sul capo di Gesù.
Il sole sorge dall’oscurità, ed essa è ben simboleggiata con the darkness che intercorre tra la decollazione del Battista e l’equinozio iniziale dell’anno, quando i due assi coincidenti cominciano nuovamente a separarsi. Allora, scendendo gradualmente nella crescente oscurità, come in un Tempio in penombra, ne varchiamo quella soglia (quella del “Conosci te stesso”) e ci prepariamo all’avvento dell’Evangelista.